sabato 28 gennaio 2017

Ponikve v Jezerini

Tra le numerose valli cieche del Matarsko Podolje, quella di Jezerini è l'unica ad avere la confluenza di due corsi d'acqua distinti che si gettano in due inghiottitoi differenti. Quello più praticabile è il Ponikve ed il suo ramo principale è percorribile senza attrezzatura da progressione verticale.
La sua visita nel periodo invernale regala meravigliose concrezioni di ghiaccio che ricoprono abbondantemente tutta la sua parte iniziale.


Era già da un po di tempo che si parlava di questa uscita in Slovenia, saltata a fine dicembre per problemi esterni al gruppo, finalmente ce l'abbiamo fatta, e questo è il modesto resoconto di due giorni di documentazione in due cavità oltreconfine.
Partiamo alle 8, ed in un paio d'ore siamo a Basovizza per fare la seconda colazione, come da prassi.
Passiamo il confine, e cominciamo ad inoltrarci nell'idilliaco e rilassante paesaggio di questa parte della Slovenia, tra colline, prati e doline.
Lungo la stradina che ci porterà all'ingresso dell'inghiottitoio incontriamo altri speleo, tra cui amici triestini e sloveni; tocca loro oggi il turno della visita alla Mitjina. Domani sarà tutta per noi.
Arriviamo al parcheggio, ci cambiamo. L'avvicinamento non è lungo, ma tutto in ombra, fa freddo e camminiamo sulla neve congelata. Dopo il superamento del torrente ghiacciato, sopra un'albero caduto da sponda a sponda, siamo all'ingresso della cavità.
L'apertura è agevole, ma bisogna stare attenti a non scivolare, ed un'orma sospetta ci fa pensare alla possibile presenza di un orso, su cui scherzeremo un po intimiditi per tutta la giornata.
Iniziamo ad entrare e subito ci si apre davanti lo spettacolo delle concrezioni di ghiaccio, che ci porta a fermarci molto spesso per fare foto. Dopo una stalattite lunga più di due metri, girando l'angolo della galleria d'ingresso, raggiungiamo una cascata di ghiaccio, non molto grande ma spettacolare per la precisione della sua conformazione, e tutto intorno è uno spettacolo di vele e "falli" di ghiaccio.


Questa prima parte dell'inghiottitoio si presenta così, salette non molto grandi, gallerie agevoli, poche concrezioni calcaree e tanto ghiaccio. La superiamo e raggiungiamo la parte centrale, un po' deludente, "sporca" dei detriti e ramaglie trasportate al suo interno dall'acqua e dal fango.
Proseguendo, ci troviamo in un parte molto interessante della grotta: inizia a notarsi qui l'azione massiccia di erosione dell'acqua sulla roccia e mette quasi soggezione pensare alle quantità d'acqua che è passata in queste gallerie ricoperte da scallops. Un tratto è veramente suggestivo: dal soffitto pendono blocchi isolati di roccia che ricordano i denti di qualche titanica creatura immaginaria, e la roccia è talmente levigata e lisca da sembrare marmo. 



Quello che vediamo si è formato nel passato, ma tuttora la grotta viene completamente riempita nei periodi molto piovosi, quando il punto d'assorbimento esterno non riesce a smaltire le grandi quantità d'acqua che si riversa quindi nel vecchio inghiottitoio. Legni e tronchi, che si trovano a qualsiasi altezza, ne sono la testimonianza.
Non abbiamo il rilievo ne nessuno conosca la cavità, quindi dobbiamo esplorare per trovare gallerie laterali che conducano a qualcosa di interessante da fotografare, io e Laura siamo in pole position.

Gli ambienti continuano a mantenere pressapoco la stessa morfologia, qualche rametto più fangoso che chiude dopo qualche decina di metri, ma nel complesso abbiamo effettivamente la consapevolezza di trovarci in una grotta i cui punti di forza non sono certo le concrezioni, sempre molto scarse. E' una cavità diversa dalle solite, perchè la sua non è una morfologia di "aggiunta", tipica delle grotte fossili del carso sloveno e triestino, spesso molto concrezionate, ma di "sottrazione", che si mostra in tutto il suo potenziale, creando un'atmosfera quasi surreale.

S-Team di oggi: San, Daniele, Alberto, Chiara, Simona, Giorgio, Laura

Gli spunti di riflessione che possono derivare dal confronto personale con un ambiente di questo genere sono molteplici, specialmente se pensiamo alla tendenza limitante che si ha nel considerare l'acqua come un elemento che si adatta al contenitore in cui viene messa, mentre qui è chiaro come sia stata essa stessa a determinare con la sua azione paziente ed incisiva la forma e lo spazio del contesto in cui si è mossa. Le divagazioni psicologiche e filosofiche in cui mi perderò la sera, prima di dormire, parlano di forme granitiche trasformate dalla costanza, del fatto che, se in psicologia la simbologia dell'acqua rappresenta il mondo delle emozioni umane, ("l'anima", come la chiamò Carl Gustav Jung) quelle stesse nostre emozioni che defluiscono all'esterno ed all'interno di noi vanno innegabilmente a determinare cambiamenti nella realtà in cui ci muoviamo, e nella nostra realtà interiore, influenze inconsce difficili da prevedere razionalmente, ma talmente "reali" da scavare la roccia (metaforicamente parlando) e levigarla, sia dentro che fuori di noi. Così crollano parametri, così si scardinano convinzioni, così, si può arrivare a concepire l'inconcepibile, senza i limiti imposti dal calcolo e della razionalità. Ma queste sono solo speculazioni personali.

Siamo dentro da qualche ora, il materiale fotografico c'è, possiamo concederci la solita meritata pausa per mangiare qualcosa prima della riemersione. Si sta bene, la temperatura è mite e nel ritorno verso l'esterno il freddo del passaggio alla zona delle concrezioni di ghiaccio si fa sentire. Fortunatamente siamo abbastanza asciutti e tutto sommato puliti (ci siamo imposti di non sporcarci troppo per la grotta di domani), decidiamo di fermarci per ulteriori foto a queste bellezze così provvisorie, inevitabilmente destinate a scomparire con l'arrivo della primavera, consapevoli che mai più si ripresenteranno le precise condizioni climatiche perchè si ripresentino esattamente come sono ora.

Torniamo alle macchine e ci avviamo verso l'ottimo motel Jadranka, a Hrpelje , dove ci sistemiamo nelle camere, approfittiamo di una doccia calda e veniamo raggiunti da Filippo, Chicca ed Ak.

Dopo una cena abbondantissima (pure troppo), conclusasi logicamente con una bottiglia di Pelinkovec, che fa contenti tutti, specialmente Sandro, io e gli ultimi arrivati optiamo per una passeggiata digestiva in zona, e dopo un paio di chilometri torniamo al motel per goderci il meritato riposo. La mia influenza, che in grotta pareva passata, si fa sentire, ed anche Ak è notevolmente congestionato, ma non importa, dopo una notte di riposo un po difficoltoso, passata a soffiarmi il naso e tossire, sono pronto (e senza voce) per la seconda tappa del fine settimana: la Mitjina Jama.

Daniele Marton, S-Team. "Nel ventre della Madre"


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