venerdì 17 maggio 2013

Quattro giorni sottoterra: la traversata della Cueva del Rio La Venta

di Sandro Sedran

Messico meridionale, regione del Chiapas, Quattro giorni sottoterra con la quarta notte a dormire sotto le stelle in riva al fiume nel canyon del Rio La Venta, fuori dal tempo e dal mondo civilizzato. Ecco cosa attende la squadra che si accinge ad affrontare i 7,5 km della traversata della favolosa Cueva del Rio la Venta.

Alla riunione sugli obbiettivi da realizzare Tullio indica sul rilievo i punti in cui mancano o bisogna rifare le fotografie ed i tratti in cui bisogna verificare gli armi o sostituire le corde, in base alla relazione fatta dagli ultimi che hanno effettuato la traversata.
Seguono le frenetiche fasi di preparazione; tutti sono abbastanza agitati e col timore di dimenticare qualcosa di importante. Il materiale è tantissimo ed i grandi sacchi speleo stentano ad ospitarlo tutto; dovremo portare via roba per campo, armo, fotografia, emergenza e personale.
Naturalmente gli orari che ci eravamo dati per la partenza sono saltati, ma non importa, tanto qui siamo in Messico e l'ora, dicono, è una pura formalità.
La squadra è composta da tre sardi, tre veneti e tre messicani:
Carla (capo squadra) e Salvatore: rilievo
Vittorio ed Andrea: armo
Simona e Sandro: fotografia
Manuel: guida ed armo
Fabiola ed Hugo: accompagnatori
anche se poi alla fine tutti hanno dato il loro contributo nella realizzazione delle foto e nel trasporto dei materiali.
Dopo una bella spruzzata d'insetticida anti-zecche sulle gambe, Tullio ci accompagna con il pick-up alla colonia Lopez Mateos dove carichiamo i messicani e ci avviamo verso la cueva. All'inizio del tratto da fare a piedi ci attende un ragazzo con un cavallo ed un asino su cui carichiamo parte dei nostri sacchi. Fortunatamente il tempo è nuvoloso e non fa troppo caldo. In circa venti minuti siamo alla baracca costruita nei pressi dell'ingresso dove ci prepariamo per entrare.





Le gallerie iniziali del Suegno Blanco sono bellissime con la roccia quasi bianca e levigata in cupole. Dopo un paio di scivoli agevolati da una cordona, inizia la serie di pozzi che fa perdere velocemente un po' di quota.
Qui iniziano subito i problemi con gli armi e che ci accompagneranno per tutta la traversata. Nel primo salto da fare in corda si passa un deviatore abbastanza teso il cui chiodo si sfila dalla roccia dopo che è passato l'ultimo del gruppo; fortunatamente quando non era più in carico, altrimenti avrebbe fatto un bel volo.






Si sbuca in una grandiosa galleria dal pavimento e soffitto pianeggianti, antica sede del fiume sotterraneo. Il posto è bellissimo e la tentazione di fare foto deve essere frenata per non sprecare le luci e rischiare di restare senza nei punti che ci hanno assegnato di fotografare. In più occasioni dovremo resistere a questa tentazione e per noi, che andiamo in grotta solo per fare documentazione visiva, è stata una vera sofferenza.
In breve arriviamo nel grande salone di crollo tra i cui massi è stata trovata la giunzione con il fiume sotterraneo. Mentre la squadra d'armo verifica la discesa, noi proseguiamo oltre per andare a scattare una foto nel tratto terminale del Ramal Sur, visitato solamente in occasione dell'esplorazione e del rilievo e mai fotografato.

Raggiungiamo gli altri all'interno della frana e constatiamo un nuovo problema d'armo: la corda, toccando su una protuberanza della roccia un metro sotto l'attacco, si è rovinata e si è dovuto fare un nodo per isolare la lesione. La partenza avviene quindi disarrampicando per un tratto, non prima di aver porcheggiato per far passare i nostri grandi sacchi nell'esigua fessura tra i blocchi rocciosi.
Purtroppo le foto dall'alto sulla calata nella sala del Lago de los Perezosos non sono venute bene perchè non sono riuscito a posizionare il cavalletto nello scomodo ed esposto spazio a disposizione. Il full-frame della EOS 6D ha consentito lo stesso di fare foto a mano libera, ma non ho curato bene la disposizione delle luci e della persona sul fondo a causa della sconcentrazione causata dalla posizione precaria. Peccato...


Un volta giù constatiamo che la teleferica che risale nel ramo fossile (per evitare di fare subito il bagno) è stata sostituita da una risalita normale più traversi; meno faticosa e sicuramente più comoda.

Qui inizia uno dei tanti vuoti di memoria della traversata, tutti dovuti sicuramente al fatto che bisognava concentrarsi totalmente su ogni passo che si faceva per evitare di cadere sulla roccia scivolosissima e non farsi male sulle innumerevoli ed affilatissime lame sporgenti. Gli scarponi da montagna, specie quelli con suola in vibram, si sono rivelati assolutamente inadeguati a questo tipo di terreno; quanto abbiamo rimpianto le nostre meravigliose scarpe da torrentismo e quanto abbiamo invidiato Vittorio che ce le aveva!

Il rombo del torrente ci avvisa che ci stiamo avvicinando alle rapide dell'Escalera del Diablo. Qui c'è il traverso visto in fotografia che tanto ci aveva preoccupato, ma che poi non era così difficile. La corda non tesa ti faceva faticare per passare il moschettone da un tratto all'altro. Dopo tre tratti su un lato, la corda passa sull'altro lato della forra, risalendo di 3-4m, per poi ridiscendere immediatamente un paio di metri più in là ed infilarsi su uno stretto pozzetto parallelo dove la corda non arriva neanche sul fondo costringendo a disarrampicare per un paio di metri. Questo è sicuramente un tratto in cui bisognerà rivedere completamente l'armo, magari mettendo una bella fune d'acciaio inox.

Per andare a fotografare la cascata facciamo il primo incontro con le tanto decantate sabbie mobili, ma fortunatamente sarà l'unico punto in cui le troveremo. Il getto principale che si vede non è l'acqua della nostra cueva, ma quella di un'altra sconosciuta ed inesplorata! Lavoro aperto per i prossimi esploratori.


L'unico tratto che ricordo da questo punto fino al campo è una stupenda galleria d'interstrato Genc Osman dove il fiume scorre placido tra grandi anse di sabbia e dove finalmente è una goduria avanzare spensieratamente senza doversi preoccupare di dove mettere i piedi.

Il primo campo lo piazziamo dopo oltre sette ore nei pressi del El Hongo, una grande formazione calcitica con a fianco tanta soffice sabbia ed un provvidenziale blocco roccioso pianeggiante che funge da tavolo. Una grande stalagmite a forma di coppa raccoglie abbondante acqua di stillicidio e sembra messa lì apposta per favorire gli "speleo-campeggiatori". La temperatura interna della grotta è di 23°C e, una volta messe le ciabattine, pantaloni e maglietta asciutti, si sta veramente bene.



Qui inizia il nostro rapporto di amore/odio per i pasti liofilizzati in busta. Sempre duri, a volte sgradevoli, ma con la fame che ci ritrovavamo a fine giornata ce li siamo sempre mangiati tutti con gusto.
L'acqua da bere viene recuperata sempre da pozze di stillicidio o vasche sospese, mai direttamente dal fiume, che è sicuramente inquinato dopo il passaggio per le colonie abitate nel suo tratto prima d'immergersi nella cueva. In ogni caso l'acqua viene sempre trattata per annientare i batteri presenti.

Il secondo giorno è stato quello più faticoso ed impegnativo fisicamente. Inizia subito con il Salon de la Ciudad Perdida dove bisogna fare gli acrobati tra i grandi blocchi di distacco presenti sul pavimento. Poi il chilometro della Selva de Piedra, terrificante con le sue rocce scure taglienti e super-scivolose; muscoli tesi e tensione alle stelle con il pesante sacco che ti sbilancia ad ogni passo. Farsi male qui è molto facile, ma assolutamente vietato. E la tortura poi continua pure in acqua con le lame sommerse che solo i primi riescono a vedere; gli altri devono solo prevederne la presenza, avanzando cautamente, dato che l'acqua si è intorbidita dopo il passaggio dei compagni.





Un tratto dove nuotare completamente anticipa il passaggio delle rapide della Barranca de Ollin. Purtroppo ci sono ancora dei problemi con gli armi e siamo costretti ad una pausa di un'ora con l'aria che ci fa morire tutti dal freddo dato che eravamo bagnati fradici dal bagno appena fatto.
Ancora rocce viscide e poi finalmente si abbandona il fiume per risalire nel grande Salòn de las Puertas del Caos dove vediamo sulla sinistra la grande colata che dovremo risalire in arrampicata.
Mentre Vittorio inizia la risalita supportato da Salvatore, Andrea risale la corda che porta nel canyon de los Suegnos e trova ben tre nodi che isolano delle lesioni. Uno dei compiti della traversata era proprio quello di sostituire questa corda e mentre Andrea provvede gli altri preparano la scena per la foto del salone.



I messicani si avviano verso il campo mentre gli italiani attendono il completamento della risalita che termina nel giro di un paio d'ore. Vittorio e Salvatore vanno a dare un'occhiata veloce al nuovo ramo per accertarne la consistenza e programmare il lavoro per il giorno successivo. Và ed è pure bello: domani si torna.
Prima di arrivare al campo, percorriamo forse il tratto più bello di tutta la cueva: la Canada de los Suegnos (il canyon dei sogni): è un'alta forra sospesa tra due grandi pozzi-salone, con pavimento e pareti completamente lavorati a scallops e con la roccia totalmente ripulita dalle piene che ogni tanto l'attraversano. Bellissimo!

Constatiamo che pure la corda che risale al campo è stata armata malamente e sfrega in più punti. Se ci sarà tempo e materiale si sistemerà pure questo tratto. Arriviamo dopo le 23 e troviamo i messicani che già riposano alla grande. Approntiamo la cena con le favolose bustone liofilizzate e ci mettiamo a nanna pure noi. Il campo nel Corridores de los Tapires è una bella galleria concrezionata con il fondo sabbioso, ma più ventilata e piccola rispetto al primo campo.



Il terzo giorno siamo ritornati al Salòn de las Puertas del Caos per andare a rilevare, fotografare ed esplorare ulteriormente i nuovi rami fossili. Essi iniziano con un bel meandro dal pavimento ricoperto da colata calcitica gialla con numerosi gours ed alcuni tratti riccamente concrezionati. Dopo un'ampia saletta circolare, un breve tratto di meandro ci porta ad intercettare ortogonalmente una grande forra che a monte risulta ostruita da una serie di colate da risalire (sicura ed ampia prosecuzione ben visibile), mentre a valle la risalita di ulteriori colate fa ritornare nella zona della risalita effettuata.



Mentre un gruppo fotografa, Vittorio esplora le condotte situate poco sopra il bordo della colata risalita e scopre che conducono all'inizio del Canyon de los Suegnos.
La squadra rilievo inizia la topografia dei nuovi rami e Vittorio sistema la risalita del giorno prima con corda fissa ed armi classici a favore di eventuali altri visitatori. Poi tutti gli altri seguono Vittorio ed Andrea che armano la nuova calata nel canyon. Con questo è stato realizzato un importante by-pass alto del Salòn de las Puertas del Caos che consentirà di arrivare al secondo campo anche se il salone è occupato dal lago, oppure evitare la brutta e fangosa risalita nel salone.







Il quarto giorno si affronta l'ultimo terzo del percorso che ci porterà fuori. E' il tratto più bello e concrezionato di tutta la grotta. Peccato che la guida Manuel non ti lascia il tempo di guardarti intorno neanche un attimo; ti distrai un secondo e lui ed i suoi conterranei sono spariti dalla vista lasciandoti interdetto su quale passaggio abbiano preso e facendoti crescere l'ansia "da abbandono" tipica di chi non conosce la strada. Anche questa è stata una delle cose che abbiamo patito maggiormente e che non ci ha consentito di godere appieno delle bellezze della grotta.
Le gallerie Bella Durmiente e Lo que el Viento se Llevò sono di dimensioni normali, belle e concrezionate. Numerose le pozze d'acqua ed i laghi che attraversiamo (alcuni pure a nuoto) ed iniziano pure le famose "meduse", grandi colate che terminano con eleganti e bellissimi drappeggi.




Arrivati alle Rapide di Chac perdiamo ancora moltissimo tempo a causa degli armi insicuri. La scarsa portata del fiume consentiva di passare pure da sotto, ma ne approfittano solo Vittorio e Carla rimasti per ultimi in coda al gruppo. Anche le foto vengono bene e la poca acqua consente di mettere dei modelli in posizioni impensabili con portate maggiori.


Emozionantissimo il passaggio sotto la Secunda Medusa: la volta del soffitto si abbassa lasciando solo un metro tra il fondo sabbioso. Per una ventina di metri si avanza carponi immersi in 10-20 cm d'acqua. Con portate superiori qui sifona molto facilmente impedendo l'uscita degli speleologi. Altrettanto emozionante la gigantesca Primera Medusa dove ci scattiamo una bella foto di gruppo.


Della parte finale ricordo il passaggio di due grandi saloni dove bisognava tenere la destra districandosi tra macigni grandi come case, il passaggio nel bellissimo Salòn del Teatro, concrezionato e sabbioso, e l'arrivo alla discesa nel Salòn della Cascada con un nuovo intervento a sistemazione dell'armo. Favolose le bianche vaschette che caratterizzano le imponenti colate che si gettano nel salone. L'uscita avviene proprio risalendo una di essere e piange il cuore dover calpestare simili meraviglie.
Ultimo colpo di scena nella risalita di una colata dove Manuel, arrivato quasi in cima, inizia ad urlare ed appiattirsi al suolo: la corda si stava sfilando dalla stalagmite a cui era mal ancorata.
Pipistrelli ed il loro guano sul pavimento ci dicono chiaramente che siamo fuori e la visione della luce esterna, dopo quattro giorni sottoterra, è una visone che riempie tutti di gioia.



L'ultima discesa su corda in esterno ed in breve siamo sulle rive del Rio la Venta con le sue spettacolari ed altissime pareti a picco. Dopo una decina di minuti di camminata, risalendo il fiume, arriviamo alla spiaggia su un'ansa dove gli amici messicani ci attendono con pesce pescato sul posto cotto alla brace ed in padella: una delizia! Prima di mangiare un bel bagno nel fiume, per togliersi fango, sabbia e puzza, è proprio quello che ci vuole.




Una fantastica luna piena illumina il canyon, ma la stanchezza ci fa andare a dormire presto e fortunatamente non c'è nessun insetto, ragno o giaguaro che ci disturba il sonno. Anche alla mattina successiva gli scarponi non sono diventati la dimora di qualche animaletto locale.





Il quinto giorno è stato decisamente il più faticoso dove la stanchezza accumulata si è fatta sentire durante il grande sforzo per risalire i 500 metri di dislivello che separano il fiume dall'altopiano. Purtroppo il sentiero seguiva quasi sempre una linea diretta e non c'era mai un attimo per tirare il fiato. I pesanti sacchi in spalla si facevano sentire e la speranza che ce li avessero portati i cavalli fin da subito è svanita immediatamente quando non abbiamo visto la loro presenza in riva al fiume. Moltissime sono state le pause per non schiattare al suolo.



E come se non bastasse, arrivati in cima, i cavalli sono pure scappati e ci è toccato portare i pesi per un'altra mezz'ora buona fino al loro recupero. Anche la successiva camminata di circa due ore non è stata tanto piacevole a causa del gran caldo e mancanza di vento che ti desse un minimo di refrigerio. Si è rischiato più volte il colpo di calore e patito parecchio la sete, dato che il litro e mezzo a disposizione si è rivelato insufficiente.
Assolutamente impensabile camminare da queste parti senza guida; ci saremmo persi un sacco di volte, specie nell'ultima parte dove il sentiero era solo una labile traccia nella foresta.
L'arrivo alla casetta nei pressi dell'ingresso della cueva è stato quasi una liberazione. Ci attendevano dei fantastici tamales avvolti in foglie di banano e birre fresche conservate nel ghiaccio che abbiamo subito depredato usandolo per abbassare la nostra temperatura corporea.


La Cueva è ancora ben lontana dall'essere "addomesticata". Nonostante siano già state fatte un paio di uscite appositamente per sistemare gli armi, ancora molto resta da fare per rendere più sicura possibile la traversata. Assolutamente indispensabile la presenza di una squadra d'armo, attrezzata e pronta a tutto, per fronteggiare gli inevitabili imprevisti e danneggiamenti causati dalle grandi piene che ogni anno spazzano la grotta. Per questo ringraziamo moltissimo Andrea e Vittorio che, oltre a tenere sempre alto il morale cantando e storpiando ogni tipo di canzone possibile, ci hanno consentito una progressione sicura nei passaggi su corda.
Traversata impegnativa fisicamente a cui si sono aggiunte ulteriori difficoltà causate da piccole cadute, stati febbrili, potenti raffreddori, dissenteria e spossatezza che hanno colpito alcuni dei partecipanti ed aumentato la difficoltà. Fare campi interni di più giorni ed il fatto di trovarsi in un posto estremamente isolato dal resto del mondo, potrebbero creare difficoltà anche a livello psicologico a coloro che non sono abituati a questo tipo di situazioni.

Tutte le informazioni sulla grotta si trovano sul sito http://cuevariolaventa.info/, ma si consiglia caldamente di contattare il Team La Venta per avere notizie fresche e più dettagliate e magari sentire se è possibile aggregarsi alla prossima spedizione in Chiapas.


1 commento:

  1. Che dire, non ho proprio parole se non quelle di complimenti per il lavoro svolto, sia fotografico che per il racconto.
    Bravi, bravi, bravi.
    Ciao a tutti
    Donato
    Speleobordy
    S-Team

    RispondiElimina